, ,

La caduta del muro di Berlino

Targa commemorativa della caduta del muro di Berlino

Era il 9 novembre  del 1989 e, nonostante i venti di cambiamento che attraversavano l’Europa dell’Est, nulla lasciava presagire che, da lì a poco, la storia avrebbe imboccato una strada irreversibile. Fu il giorno in cui cadde il muro di Berlino. Un po’ per sbaglio, un po’ per caso. Ricordiamo qui come accadde, a 36 anni di distanza.

La conferenza stampa che cambiò il mondo

È il tardo pomeriggio e nella sala conferenze della sede del Partito Socialista Unificato di Berlino Est, il portavoce del nuovo Politburo, Günter Schabowski, prende posto davanti ai giornalisti. È in carica da poche settimane, e quel giorno deve leggere un comunicato redatto dai colleghi mentre lui era in vacanza. Con tono monotono, Schabowski snocciola le decisioni del governo. Poi, tra gli appunti, spunta una frase destinata a cambiare tutto: i cittadini della Germania Est potranno richiedere un passaporto. Per la prima volta, la libertà di movimento — il sogno proibito di milioni di tedeschi orientali — sembra possibile.

Le domande in sala si moltiplicano. Un giornalista chiede con urgenza: “Quando entrerà in vigore questa misura?”. Schabowski, colto alla sprovvista, scorre le carte, ma non trova la risposta. Balbetta, tergiversa. Poi, con voce esitante ma decisa, pronuncia due parole destinate a entrare nella leggenda: “Ab sofort”, “da subito”. Nessuno, nemmeno lo stesso Schabowski, sembra rendersi conto di ciò che ha appena detto. Ma le telecamere stanno trasmettendo in diretta, e nel giro di pochi minuti la notizia attraversa Berlino, da Est a Ovest e ritorno. I cittadini capiscono un solo messaggio: il confine è aperto.

Un ordine mai autorizzato

Centinaia di persone si dirigono verso i punti di passaggio tra le due Berlino. In poche ore, le centinaia diventano migliaia. A Checkpoint Charlie, simbolo della divisione della città, una folla si accalca contro le sbarre gridando “Aprite!”, mentre dall’altro lato del muro, gli abitanti dell’Ovest rispondono “Venite!”. Due mondi che si erano guardati per 28 anni iniziano a riconoscersi di nuovo. Tra i soldati di guardia c’è Harald Jäger, 49 anni, in servizio da quando ne aveva 18. È confuso, in attesa di ordini superiori che non arrivano. Forse spinto dalla pressione della folla, dai cori, dalle emozioni a stento trattenute, alle 23:17, Jäger prende una decisione che nessuno gli aveva autorizzato. Le sbarre si sollevano. Migliaia di persone attraversano il confine, si abbracciano, si baciano, salgono sul muro, danzano sulla sua sommità. In quel preciso momento, il Muro di Berlino cade, non per un’esplosione o per un atto politico programmato, ma per una frase pronunciata per errore e per il coraggio di un uomo stanco di obbedire.

Il giorno dopo: un mondo nuovo

Il 10 novembre 1989, i giornali tedeschi titolano all’unisono: “Die Mauer ist weg”, il muro è sparito. Le immagini di Berlino invadono il mondo: giovani con martelli e scalpelli, famiglie divise che si ritrovano, le due città che tornano a essere una. E come afferma Heinz-Gerhard Haupt, autore di un saggio sul tema, nel volume Il Novecento de L’età moderna e contemporanea, edito da Federico Motta Editore:

La caduta del muro deve essere interpretata su tre diversi piani: segna la fine della  guerra fredda tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica; indica il fallimento di un modello socialista di organizzazione sociale e politica sul territorio tedesco; apre infine la via alla riunificazione della Germania.

Quel muro, costruito nel 1961 per dividere, cade in poche ore grazie a un equivoco e al desiderio irriducibile di libertà. Da quella notte, l’Europa non sarà più la stessa.