Giovanni Falcone: in nome della legalità

Monumento in memoria dei giudici Falcone e Borsellino a Civitavecchia.

Sono passati 33 anni da quel 23 maggio 1992, giorno in cui il magistrato Giovanni Falcone e sua moglie Francesca Morvillo persero la vita nella strage di Capaci. Fu un attentato terribile, un vero atto di guerra che fece una grandissima impressione sull’opinione pubblica non solo italiana. Ricordiamo il loro impegno civile in nome della legalità, ricostruendone la vicenda a partire da I Decenni e dalle voci dell’Enciclopedia Motta.

La carriera di Giovanni Falcone

Giovanni Falcone era uno dei magistrati antimafia più celebri d’Italia. Da poco più di un anno era a capo della Direzione Affari Penali del ministero della Giustizia, e in precedenza aveva fatto parte del cosiddetto “pool antimafia”, istituito da giudice Antonino Caponnetto presso la procura di Palermo per investigare sui reati di tipo mafioso. Il pool antimafia, di cui facevano parte altri giudici tra cui anche Paolo Borsellino, era un gruppo ristretto di magistrati che firmava congiuntamente tutti gli atti delle inchieste, in modo da “spersonalizzare” le inchieste. Le indagini del pool, e la collaborazione del pentito Tommaso Buscetta, portarono al cosiddetto “maxiprocesso”, che si tenne dal 10 febbraio 1986 in un’aula bunker costruita appositamente nel carcere dell’Ucciardone di Palermo, e che coinvolse 474 persone imputate per associazione mafiosa. Il processo, 22 mesi dopo, si concluse con 370 condanne: 19 ergastoli e oltre 2500 anni di carcere complessivi.

Il 19 gennaio 1988, dopo il pensionamento di Caponnetto, il Consiglio Superiore della Magistratura elesse a sorpresa, come nuovo consigliere istruttore di Palermo, Antonino Meli, già presidente della Corte di Appello di Caltanissetta, che, nonostante il successo del maxiprocesso, portò in breve allo smantellamento del pool antimafia. Il 30 luglio dello stesso anno Falcone, deluso, chiese di essere trasferito ad altro incarico. Ma il giudice era già nel mirino della mafia fin dal 1982, ancora prima che iniziassero le attività del pool.

L’attentato di Capaci

Memoriale delle vittime della strage di Capaci, in cui perse la vita Giovanni Falcone

Memoriale delle vittime della strage di Capaci, in cui perse la vita Giovanni Falcone

Nelle settimane precedenti il 23 maggio 1992, nel tratto dell’autostrada A29 tra Palermo e Punta Raisi, venne scavata una galleria e vennero piazzati oltre cinquecento chili di tritolo che furono innescati a distanza da un uomo che era appostato in attesa del passaggio del corteo delle auto blindate di Falcone e della sua scorta.

Quel giorno, infatti, era sabato e Giovanni Falcone stava tornando da Roma a Palermo per il fine settimana. Volle guidare personalmente la sua Croma bianca. Di fianco a lui c’era la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato. L’autista Giuseppe Costanza, sul sedile posteriore, sopravvisse.

Alle 17.58 l’esplosione, potentissima, prese in pieno la prima auto della scorta, uccidendo sul colpo i tre agenti a bordo, e scavando una voragine di diversi metri. L’auto di Falcone, invece, si schiantò contro il manto stradale sollevato dall’esplosione: lui e la moglie, senza le cinture di sicurezza, vennero scagliati in avanti. Gli agenti a bordo dell’ultima auto si salvarono.

Giovanni Falcone e la moglie vennero trasportati, ancora vivi, all’ospedale Civico di Palermo. Morirono entrambi poche ore dopo.

L’albero di Falcone

Da quel 23 maggio 1992, un albero di ficus cresce in via Notarbartolo, davanti alla casa palermitana di Giovanni Falcone e Francesca Morvillo. Continua a essere da oltre trent’anni meta di pellegrinaggio popolare e punto di ritrovo e di passaggio obbligato per le manifestazioni e le commemorazioni antimafia nella città.

La pianta è diventata una sorta di monumento alla memoria dei magistrati e dei tutori della legge.