Paul Gauguin, innovatore dell’arte
Il 6 settembre è stata inaugurata a Roma, al Museo Storico della Fanteria, una mostra dedicata a Paul Gauguin, indiscusso innovatore dell’arte moderna. Qui cogliamo l’occasione per ricordare e celebrare la forza dirompente di un artista che, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, seppe rompere con le convenzioni visive e aprire la strada a nuove possibilità espressive, soprattutto del colore.
Una vita di ricerca e di innovazione
Nato a Parigi nel 1848, Gauguin non seguì inizialmente la strada dell’arte: fu prima allievo pilota su un mercantile della Marina francese, poi agente di cambio e solo intorno ai trent’anni decise di dedicarsi interamente alla pittura, abbandonando famiglia e sicurezza economica. La sua fu un’esistenza segnata da conflitti personali, da un rapporto difficile con la società e dall’insofferenza per le regole borghesi, ma al tempo stesso sorretta da un’energia creativa che lo portò a sfidare continuamente i canoni dell’arte occidentale. Dopo una parentesi impressionista, capì presto che quella via non bastava a esprimere la sua sensibilità. Gli impressionisti cercavano la vibrazione della luce, il frammento colto nell’attimo; Gauguin invece aspirava a qualcosa di più profondo, capace di condensare emozioni, simboli e visioni.
La svolta giunse con i suoi viaggi: prima in Bretagna, a Pont-Aven, poi a Tahiti e infine nelle isole Marchesi. Questi luoghi divennero per lui laboratori di sperimentazione, spazi in cui il colore poteva liberarsi da ogni vincolo naturalistico per assumere una funzione autonoma, quasi spirituale.
Il colore come musica
Se Monet perseguiva l’immediatezza percettiva e Seurat il rigore “scientifico” della scomposizione cromatica, Gauguin scelse una terza via: il colore come linguaggio autonomo, orchestrato in vaste superfici giustapposte, guidate da un’intuizione interna, quasi musicale. Lo spiega perfettamente Concetto Nicosia in un saggio dedicato al simbolismo ne La storia della civiltà europea, opera del catalogo di Federico Motta Editore, citando le stesse parole del pittore:
A un intervistatore che gli rimprovera i cani rossi e i cieli rosa dei dipinti polinesiani, Gauguin risponde che sono scelte consapevoli, frutto di un lungo calcolo e di un’intensa meditazione: “è musica, se volete!”. Gli accordi di linee e colori, legati insieme dal tenue pretesto di un tema tratto dalla vita o dalla natura, non vogliono esprimere un pensiero ma, conclude Gauguin, vogliono ottenere “armonie e sinfonie che non hanno niente di reale nel senso comune del termine”.
Il dipinto non deve riprodurre la realtà, ma generare risonanze interiori, atmosfere, evocazioni. In questo senso, Gauguin è stato all’origine di un movimento che supera impressionismo e divisionismo: il colore non è più mero strumento di rappresentazione, ma materia viva, carica di mistero, simbolo e spiritualità. Non a caso, le sue tele esercitarono un’influenza decisiva su artisti come Matisse, Picasso e i Fauves, che videro in lui un precursore della libertà moderna.